Territorio
Il territorio di Simaxis si mostra per lo più pianeggiante, caratterizzato dal corso del fiume Tirso e da uno dei suoi affluenti: il Rio Sant’Elena. L’agro di Simaxis viene diviso ideologicamente in due zone, la prima, detta Bannaxi o Bennaxi è caratterizzata da terreno molto fertile, opera delle esondazioni del fiume Tirso, e si colloca sulla parte nord dell’abitato, nella parte più bassa, delimitata a sud dalle vie Rio Sant’Elena, Temo e Tirso, e si estende a nord fino al corso del fiume, che fa da confine coi territori comunali di Solarussa e Zerfaliu, ed a Est fino ai confini col territorio di Ollastra; la seconda, detta Gràgori o Grègori, rappresena la restante parte dell’agro di Simaxis.
Nonostante la differenza di fertilità tra i due tipi di terreni, c’è da dire che tutto il territorio comunale si presta a coltivazione variegata in quanto è totalmente irriguo.
Le coltivazioni di spicco sono il riso e le olive sia da mensa che da olio. In particolare una varietà di Olive è ritenuta, dagli abitanti, autoctona tanto da prendere il nome di “Olia Manna de Simaghis”. Si tratta di una varietà di olive a drupa grande, con caratteristica della cutivar ad accrescimento assurgente, con maturazione precoce. Sono ottime olive da mensa, ma se ne estrae un olio delicato e chiaro.
La coltivazione di riso occupa ogni anno una buona percentuale dell’estensione agricola totale, normalmente con semina tra aprile e maggio e raccolto tra settembre e novembre. E’ proprio a Novembre che, al termine della raccolta, si svolge la Sagra del Riso, manifestazione a carattere enogastronomico, tendente a incentivare il consumo di riso tra le famiglie sarde, quale alimento base in alternativa alla pasta.
Storia e Cultura
Ai circa trenta centri di vita preistorica dell’oristanese dovevano appartenere gli agglomerati di capanne di frasche e di canne palustri, i cui resti sono stati scoperti nel territorio di Simaxis in due siti, su un gradino delle alluvioni terrazzate alla periferia ovest del paese attuale, molto vicino al rio S. Elena affluente del fiume Tirso, con manufatti e statuette raffiguranti la dea Madre mediterranea e appartenenti secondo gli studiosi alla cultura di S. Michele (1600-1200 a.C.).
Al periodo nuragico arcaico (Cultura di Monte Claro 1200-900 a.C.) appartengono i resti dei nuraghi presenti nella bassa valle del Tirso nel territorio di Ollastra-Simaxis, San Vero Congius (frazione di Simaxis) e Zerfaliu. Probabilmente si tratta di minori proliferazioni nuragiche usate oltre che per la difesa, anche per l’utilizzazione economica agricolo-pastorale della valle. Per la vita culturale ebbe importanza l’utilizzazione industriale dell’ossidiana del vicino Monte Arci, donde si trassero manufatti e strumenti scheggiati e ritorti. I Fenici fecero la loro comparsa in Sardegna in pieno periodo nuragico verso l’anno 800 a.C. essi estesero il loro dominio nell’entroterra lungo il fiume cui, secondo Tolomeo diedero il nome di Tihium (forse Tirsum). Alla fine del VI secolo a.C. i Cartaginesi occuparono la zona. Nel IX secolo in Sardegna si formò un governo autonomo retto da Giudici.
Numerosi villaggi e borghi sorsero allora nella fertile valle del Tirso compresi tutti nel Giudicato d’Arborea nelle due Curatorie del Campidano maggiore e del Campidano di Simagis. La più antica testimonianza della esistenza di Sant’Eru di Simagis (San Vero Congius) risale al tempo del Giudice arborense Comita de Lacon intorno al 1140. Verso il 1229, al tempo del priore Nicolò sono ricordati: Santu Eru, Simagis margiani, Simagis de Josso, Simagis Santu Jiulianu. Il documento terzo della bolla del pontefice Clemente V del 13 gennaio 1306 riconosceva a Filippo Mameli il possesso della donazione fatta in data 20 agosto 1282 dal giudice Mariano a favore di Mariano Mameli di diverse terre, salti e casolari posti nel territorio di Simaxis.
Sono scomparsi Simagis de Josso e Simagis Santu Julianu. Nel 1388, anno del trattato di pace tra Eleonora d’Arborea Giovanni IV d’Aragona esistevano ancora tutti i paesi citati. Il 29 marzo 1410 in seguito al trattato di pace tra I. Cubello e il re d’Aragona fu costituito il Marchesato di Oristano, che divenne feudo regio in seguito alla sconfitta di Leonardo Alagon a Macomer il 19 maggio 1478. Il Fara esponendo intorno al 1580 la circoscrizione delle varie diocesi sarde, parla dell’ “Oppidum S. Hieri” (oggi San Vero Congius). Nel 1637 a causa dell’invasione francese tentata proprio nel Golfo di Oristano, furono bruciate e distrutte alcune ville ed altre molto popolose rimasero quasi deserte come San Vero Congius e Simagis.
La pestilenza del 1656 contribuì alla distruzione della popolazione. Dopo l’epidemia di peste del 1680 le condizioni di vita permasero particolarmente gravi per lungo tempo. Nel 1720 i piemontesi presero possesso dell’isola, trovando un paese spopolato e misero. Bonificato il territorio che nel 1848 contava solo 141 abitazioni, dopo il 1958 si è sviluppato raggiungendo nel 1971 n. 506 abitazioni.
Identità geografica
La breve occupazione dei Vandali come quella ben più lunga dei Bizantini non apportò modificazioni importanti nella struttura demografica economica e sociale dell’isola; sia i Vandali che i Bizantini si sostituirono semplicemente ai vecchi padroni. Nelle campagne rimase così una società dedita all’agricoltura e alla pastorizia formata da liberi e da servi, questi ultimi in numero maggiore dei primi e considerati come “res” e angariati da imposte, da tributi e prestazioni indebite. La persistenza e l’efficacia successiva del governo bizantino sono testimoniate indirettamente nella cultura, nella religione, nell’arte. Persiste ancora nella zona il culto per i santi orientali.
La chiesetta
La chiesettaa cupola emisferica situata nell’antico sito di San Vero Congius è intitolata appunto agli Angeli. Opera di maestranze bizantine ha quattro braccia uguali raccordate dalla bassa cupola. Il pavimento è in pietra. All’esterno sono visibili le ghiere degli archi in conci di trachite. Nello stesso sito della chiesa bizantina si trovano i ruderi dell’antica chiesa parrocchiale di San Vero Congius intitolata a San Nicolò di Mira.
Il monte granatico
All’interno dell’abitato di Simaxis è situato il monte frumentario (monte granatico) che risale ai primi dell’ 800. E’ il luogo dove veniva ammassato il grano versato dai coltivatori in percentuale al raccolto annuo. Questa riserva serviva per essere distribuita gratuitamente ai poveri o dietro pagamento, alle persone che intendevano iniziarne la coltivazione. Una campanella posta in un archetto fatto di mattoni rossi, sovrastante l’edificio, che veniva suonata per avvisare la popolazione, sia al tempo della raccolta, sia al tempo della distribuzione. La parte inferiore dell’edificio, che è costituito da un unico corpo longitudinale, suddiviso in tre campate da arcate a sesto acuto, in mattoni rossi. La muratura è formata da una zoccolatura che raggiunge un metro di altezza circa, in pietra, mentre la parte superiore della muratura è in mattoni crudi (ladrini). La copertura è fatta di tegole rosse e internamente a capriata.
San Simmaco Papa
La chiesa parrocchiale risale al 1833, come risulta dal libro della parrocchia, nel quale si dice che i popolani si riunirono per l’esercizio del culto nella chiesa di San Simmaco Papa patrono di Simaxis, eretta dove la tradizione vuole fosse la casa paterna del Santo. Alla parrocchia furono trasportati l’altare maggiore e le balaustre in marmo policromo e il pulpito in marmo bianco con baldacchino in legno lavorato. L’edifico attuale presenta una facciata ad imitazione dello stile neoclassico, sormontata da un timpano al centro del quale si apre un lunotto chiuso da una vetrata a spicchi colorati. Tutta la costruzione è realizzata in arenaria e mattoni rossi, mentre le fondamenta sono in pietra.
L’interno è costituito da un’unica navata e da 6 cappelle laterali, tre per parte, con nicchie per contenere le statue dei santi in gesso. Unico simulacro in legno, di cui non si conosce la data di fattura, è quello dedicato al patrono San Simmaco Papa. La festa del patrono si svolge in due periodi dell’anno. La festa invernale ricade l’ultima domenica di Gennaio, mentre la festa estiva ricade il 19 Luglio, data della morte del santo. La tradizione popolare, ormai centenaria, vuole che San Simmaco sia nato a Simaxis. Tradizione popolare basata sul toponimo, cioè sull’uguaglianza dei nomi Simmaco-Simaxis. Non esiste nessun documento che comprovi tale notizia.
Di questo Papa santo, secondo Papa sardo (Ilario fu il primo), dall’unico documento attendibile, il “Liber Pontificalis”, risultano solo le date di elezione al pontificato e la morte, 498-514 (siamo alla fine del IV e all’inizio del V secolo), oltre al nome del padre: Fortunato. Le altre notizie riguardano il suo pontificato piuttosto travagliato.
Lui stesso nei suoi scritti asserisce di essere sardo di origine. E’ pervenuta a noi, tra le altre, una epistola di incoraggiamento, dedicata da Papa Simmaco, memore della sua terra di origine, al clero africano esiliato in Sardegna dal re Vandalo Trasamondo, perché non voleva riconoscere la religione ariana.
Fonte: Marcella Manca
Università degli studi di Cagliari facoltà di lettere e filosofia 1976-1977)
Titolo della testi: “Monografia su alcuni paesi della valle del tirso: Simaxis, San Vero Congius, Ollastra-Simaxis, Zerfaliu, Solarussa
Foto: Nicola Cherchi